L’inferno e le complicità del Forteto

La recente morte di Rodolfo Fiesoli, avvenuta nella RSA di Padova dove stava scontando la pena per abusi e maltrattamenti, riporta alla ribalta uno dei più inquietanti casi di cronaca italiani: quello del Forteto. La vicenda, durata oltre quarant’anni, è emblematica di come una comunità apparentemente virtuosa possa invece nascondere un sistema di potere e violenza, protetto da una rete di complicità e silenzi istituzionali ad altissimi livelli.
Il Forteto nasce nel 1977 sulle colline del Mugello, vicino a Firenze. Presentata come una cooperativa agricola e comunità di accoglienza, la struttura si proponeva di offrire una nuova vita a giovani e minori in difficoltà, molti dei quali affidati dal Tribunale per i Minorenni di Firenze. La comunità, guidata dal carisma di Fiesoli – soprannominato “il Profeta” – e dal suo braccio destro Goffredi, divenne presto un punto di riferimento lodato da istituzioni, politici e assistenti sociali.
Tuttavia, dietro la facciata di solidarietà e innovazione sociale, si celava un sistema chiuso, con regole interne rigide e rapporti di potere asfissianti. La gestione della comunità era fondata su una disciplina ferrea, isolamento dal mondo esterno e una visione distorta delle relazioni familiari: i bambini affidati venivano sistematicamente allontanati dai genitori biologici, in nome di una presunta “liberazione” dal passato.
Già nel 1978, a poco più di un anno dalla fondazione, Fiesoli e Goffredi furono arrestati con accuse gravissime: atti di libidine aggravati, maltrattamenti, corruzione di minorenne. Nel 1985 arrivò la prima condanna definitiva per entrambi, ma incredibilmente il sistema degli affidi proseguì senza interruzioni: per decenni, minori continuarono a essere inviati al Forteto, nonostante le ombre sulle pratiche educative e i primi racconti di abusi.
Il Forteto godeva di una reputazione immacolata presso molte istituzioni, tanto che per anni fu considerato un modello di accoglienza e reinserimento. Questo “blackout istituzionale” – oggi oggetto di una commissione parlamentare d’inchiesta – permise che le violenze e i maltrattamenti proseguissero indisturbati.
Solo nel dicembre 2011, grazie a un’indagine della Procura di Firenze, il velo fu definitivamente sollevato: Fiesoli, allora settantunenne, venne arrestato con l’accusa di maltrattamenti e violenza sessuale, anche su minori. L’inchiesta portò alla luce un sistema settario, caratterizzato da “regole maltrattanti, crudeli e incomprensibili”, con pratiche di lavaggio del cervello e una sistematica denigrazione delle famiglie d’origine dei minori affidati.
Nel giugno 2015 arrivò la sentenza di primo grado: Fiesoli fu condannato a 17 anni e mezzo di reclusione per abusi sessuali e maltrattamenti, insieme ad altri sedici imputati. La corte riconobbe risarcimenti milionari alle vittime e sottolineò la corresponsabilità della cooperativa agricola, a conferma che il Forteto era un vero e proprio sistema criminale.
Le condanne furono confermate in appello (luglio 2016) e, salvo alcune prescrizioni, anche dalla Cassazione nel 2017. Dopo ulteriori passaggi processuali, la condanna definitiva per Fiesoli arrivò il 6 novembre 2019: 14 anni e 10 mesi di reclusione.
Fiesoli ha sempre negato ogni responsabilità, dichiarando fino all’ultimo di non essersi mai pentito: “Non mi pento di niente. I bambini erano felici di stare con noi”. Scarcerato per motivi di salute nel 2023, è morto a 83 anni, senza aver mai ammesso le sue colpe.
La vicenda del Forteto non è solo la storia di un singolo “mostro”, ma il risultato di un sistema che ha permesso a una setta di prosperare sotto la protezione di istituzioni e figure pubbliche. Oggi, mentre la commissione parlamentare d’inchiesta prosegue i suoi lavori, resta il compito di analizzare e comprendere come sia stato possibile che per decenni centinaia di minori siano stati affidati a una comunità che si è rivelata una prigione di abusi e violenze.
Il caso Forteto rappresenta uno dei più gravi scandali dell’Italia repubblicana in tema di affidamento di minori, abuso di potere e complicità istituzionale. È un monito sulla necessità di vigilanza, trasparenza e ascolto delle vittime, affinché simili tragedie non possano più ripetersi.

Author: Antonio Fusco

Laureato in Giurisprudenza e in Scienze delle pubbliche amministrazioni, ha conseguito il Master di secondo livello in Criminologia Forense ed è iscritto alla Società Italiana di Criminologia. Quale Dirigente della Polizia di Stato, attualmente in quiescenza, si è occupato di indagini di polizia giudiziaria, investigazioni e contrasto alla criminalità. Scrive romanzi crime per Giunti (serie delle indagini del commissario Casabona) e per Rizzoli (serie delle indagini dell'ispettore Massimo Valeri - l'Indiano). Alcuni dei suoi libri sono stati tradotti in Germania, Grecia e Turchia.

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