Quella sottile linea nera che parte dal delitto Mattarella

6 gennaio 1980. A Palermo piove e fa freddo. Il presidente della Regione Sicilia Piersanti Mattarella ha appena chiuso una lunga conversazione telefonica con Corrado Belci, dirigente nazionale della Dc. È la domenica dell’epifania e il presidente, dimissionario dopo una crisi di governo regionale, è senza scorta. Sale in auto per andare in chiesa, accanto a lui c’è la moglie, Irma Chiazzese. Fu lei la prima a descrivere il killer che si avvicinò alla loro auto a volto scoperto ed esplose, attraverso il finestrino, i colpi di pistola che uccisero Piersanti Mattarella. “Aveva gli occhi di ghiaccio e una strana andatura”. Il modo di camminare dell’assassino fu notato anche da Giovanna Saletta, la collaboratrice domestica della famiglia Mattarella, che era affacciata alla finestra. “Mi sembrava che stesse saltellando”. L’uomo che in Regione aveva deciso di governare con i comunisti, che da tutti era indicato come il delfino di Aldo Moro, in quella mattina di gennaio, spirò fra le braccia del fratello, Sergio Mattarella, l’attuale capo dello Stato.
Un mese dopo, il 22 febbraio 1980, a Roma, Valerio Verbano, studente e militante di sinistra viene ucciso in casa da tre giovani che poco prima avevano legato e chiuso nella stanza accanto, i genitori del ragazzo. Un omicidio rimasto irrisolto, eppure l’identikit di uno dei killer, ricostruito dai genitori di Valerio Verbano e da un vicino di casa, è straordinariamente somigliante al primo identikit dell’assassino di Piersanti Mattarella, quello disegnato sulla base delle indicazioni di due scout che passavano da via della Libertà, a Palermo, poco prima dell’agguato.
Valerio Verbano stava raccogliendo un dossier sull’ambiente dell’estremismo di destra romano, il cosiddetto archivio Nar (nuclei armati rivoluzionari) e la faccia del suo assassino è tanto somigliante a quella del giovane Valerio Fioravanti.
La pista nera per l’omicidio di Palermo porta la firma di Giovanni Falcone e torna, a dispetto delle sentenze, in Magma, il documentario di Giorgia Furlan, prodotto da Mauro Parissone e disponibile su Netflix: “Centrale in Magma – ci dice Furlan – è il lavoro di indagine di Giovanni Falcone sui delitti eccellenti e in particolare sul delitto Mattarella. Sono importanti due audizioni di Falcone in commissione antimafia in seduta segreta, la prima nel 1988 l’altra nel 1990. Nelle due relazioni desecretate, Falcone si sofferma sull’omicidio del presidente della Regione siciliana, evidenziando la mano neofascista. La pista nera è evidente anche in un altro delitto, quello di Michele Reina, segretario provinciale della Dc. Anche Reina aveva tentato di aprire ai comunisti al Comune di Palermo. Tutti quelli che stavano portando avanti la linea morotea, casualmente, vengono fatti fuori. Anche la vedova di Reina riconosce Fioravanti nel killer del marito”. Ci sono poi le dichiarazioni di Cristiano Fioravanti che accusa il fratello Valerio, così come altri pentiti dei Nar. “È stato lui a dirmi che con Cavallini aveva ucciso un politico siciliano (…) c’è stata una riunione in casa di Ciccio Mangiameli di Terza Posizione. Aveva partecipato anche uno della Regione Sicilia che aveva dato le dritte”. E ancora: “In quello stesso periodo a Palermo c’era Massimo Carminati, amico di mio fratello”.
Fu proprio un ex terrorista dei Nar, Walter Sordi, a dichiarare il 30 settembre del 1982, che a far parte del commando che uccise Valerio Verbano c’era pure Massimo Carminati, il capo di Mafia capitale, oggi ripiombato, a Milano, insieme ad altri due terroristi neri, Mario Corsi e Claudio Bracci, nell’inchiesta riaperta sul duplice omicidio di Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci, i due ragazzi del Leoncavallo.
Ma torniamo al delitto Mattarella e alle dichiarazioni di Irma Chiazzese. Abbiamo ritrovato anche il verbale della sua testimonianza in aula nel 1993: «Sono passati più anni, più mesi, e i miei ricordi si sono fatti più nitidi, più chiari. Adesso penso di poter dire che non solo è molto probabile, ma quasi certo, che Valerio Fioravanti possa essere il killer di mio marito».
Giovanni Falcone era convinto che gli assassini di Mattarella fossero Valerio Fioravanti e Gilberto Cavallini. Nella sua monumentale requisitoria, il giudice indicò la pista nera come quella da seguire, individuò contatti tra Valerio Fioravanti e i “maestri” della destra eversiva, Aldo Semerari e Paolo Signorelli, considerati vicini a Licio Gelli. E mentre Falcone indagava sui Nar e sulla P2, in quel 1989, vicino alla villa del giudice, all’Addaura, qualcuno lasciò un borsone con 58 candelotti di dinamite. Erano gli anni di “faccia da mostro” e dell’omicidio dell’agente di polizia Nino Agostino, della scomparsa dell’agente dei servizi Emanuele Piazza e delle rivelazioni di Stefano Alberto Volo, un professore di greco che spifferava fatti e misfatti palermitani al Commissariato San Lorenzo. Erano gli anni prima delle stragi. E per Falcone quella sull’omicidio Mattarella sarà l’ultima indagine prima di saltare in aria a Capaci. All’attentatuni del 23 maggio 1992 partecipò anche Pietro Rampulla, l’artificiere membro di Ordine Nuovo, organizzazione terroristica di estrema destra. Fu lui a confezionare l’ordigno collocato nel tunnel sotto l’autostrada di Capaci. E il connubio mafia-estrema destra emerge anche in altri fatti e in altri delitti fatti passare per “omicidi di coppola”. Come l’omicidio di Piersanti Mattarella. Perché nonostante Falcone e la sua istruttoria, il processo che si aprì il 22 aprile del 1992 davanti alla prima Sezione della Corte d’Assise del tribunale di Palermo, si concluse nel 1995 con la condanna dell’intera cupola mafiosa e l’assoluzione di Fioravanti e Gilberto Cavallini chiesta dallo stesso pm. E a sostenere la pubblica accusa c’era Giuseppe Pignatone.

(pubblicato sulla Libertà di Piacenza il 22 maggio 2025)

Author: Raffaella Fanelli

Giornalista, ha scritto per numerose testate, tra le quali la Repubblica, Sette - Corriere della Sera, Panorama, Oggi, e altrettante trasmissioni televisive, da Quarto grado a Verissimo a Chi l’ha visto? Ha realizzato interviste a Salvatore Riina, Angelo Provenzano, Vincenzo Vinciguerra, Valerio Fioravanti, Franco Freda. Nel 2018 pubblica "La verità del Freddo" (Chiarelettere), il libro intervista a Maurizio Abbatino, fondatore con Franco Giuseppucci della Banda della Magliana. Nel 2019 una sua inchiesta giornalistica permette alla procura di Roma di riaprire le indagini sull’omicidio del giornalista Mino Pecorelli e, nel 2020, dà alle stampe, con Ponte alle Grazie, "La strage continua. La vera storia dell’omicidio di Mino Pecorelli". Nel 2022 pubblica con Emons e il Fatto Quotidiano “OP”, il podcast sul delitto del giornalista. Del 2023 è "Chi ha ucciso Simonetta Cesaroni?" (Ponte alle Grazie).

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