
“Emanuela sta in cielo”. È questa la frase che Papa Francesco dice a Pietro Orlandi pochi giorni dopo la sua elezione, nel marzo del 2013, e subito dopo una messa che il Pontefice – da poco scomparso – celebra nella parrocchia di Sant’Anna in Vaticano. Dopo quella frase, Pietro Orlandi invierà fax e telegrammi con la richiesta di un incontro personale con Papa Bergoglio. Non avrà mai una risposta. Perché, in questi ultimi quarant’anni, nessun pontefice – e ce ne sono stati tre – ha mai chiarito le responsabilità della Santa sede nella scomparsa della 15enne.
“Mia sorella aveva una sola colpa, quella di essere cittadina vaticana. A un mese dalla sua scomparsa ci fu tra lo Stato italiano, a livello di presidenza del Consiglio, e lo Stato vaticano, un invito a non aprire una falla che difficilmente si sarebbe chiusa. Un invito che continua ancora oggi”.
Emanuela Orlandi, figlia di un commesso della Prefettura della Casa Pontificia, svanì nel nulla dopo una lezione di musica a Roma. La sua vicenda, intrecciata a ipotesi che spaziano dal terrorismo internazionale a trame vaticane, è tornata alla ribalta durante il pontificato di Francesco con l’istituzione di una commissione parlamentare e l’apertura di due inchieste, una della Procura di Roma e l’altra da parte del promotore di Giustizia dello Stato della Città del Vaticano.
“C’è un dossier sulla scomparsa di mia sorella custodito all’interno della Santa Sede”. Un dossier segreto e inaccessibile. E mai consegnato ai magistrati italiani. Il primo a parlarne fu monsignor Francesco Saverio Salerno, consulente legale della prefettura degli affari economici della Santa Sede che al giudice Adele Rando, nel luglio del 1997, dichiarò che “negli archivi della Segreteria di Stato erano custoditi documenti inerenti il caso Orlandi”. Un’altra conferma, di recente, è arrivata da Alessandro Diddi, nominato da Papa Francesco, nel settembre 2022, promotore di giustizia. “La magistratura vaticana – ci dice Roberto Morassut, vicepresidente della commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Orlandi – riterrà di trasmetterci ciò che ritiene opportuno in relazione al fatto che sta conducendo sue indagini. E nel rispetto delle procedure tra Stati che regolano i nostri rapporti”.
Che il Vaticano “stia indagando” è cosa nota. Che lo abbia fatto in simbiosi con Sisde e Sismi (fino al 2007 i due principali servizi segreti italiani) lo abbiamo saputo di recente, grazie alle pagine ritrovate nell’Archivio di Stato e pubblicate dalla giornalista e ricercatrice Simona Zecchi. “Ci sono state almeno due riunioni – ci dice ancora Pietro Orlandi – La prima risale al 13 luglio del 1983 e la seconda è dell’11 agosto del 1983. È interessante un appunto del Sismi, sempre del luglio 1983, dove si fa riferimento a un rapporto segretissimo sulla scomparsa di mia sorella redatto da Claudio Chelli, all’epoca ambasciatore presso la Santa sede e consegnato ai vertici vaticani. Altra cosa importante emersa di recente è il fascicolo di Amintore Fanfani, custodito nell’Archivio del Senato e coperto ancora dal segreto di Stato”. Del “rapporto segretissimo” dell’ambasciatore Chelli, sappiamo che è stato scritto dopo un vertice al quale parteciparono i monsignori Agostino Casaroli, Eduardo Martinez Somalo e Giovan Battista Re. E dopo una telefonata dei presunti sequestratori di Emanuela con Agostino Casaroli. Perché fin da subito il Vaticano si interessò alla scomparsa della 15enne. Il fascicolo di Amintore Fanfani, all’epoca presidente del consiglio e, ad interim, ministro degli interni, conterrebbe alcune lettere del turco Mehmet Alì Agca, responsabile dell’attentato a Giovanni Paolo II, all’epoca detenuto, e tre telegrammi istituzionali tra Stato italiano e Santa Sede.
Conosciamo in parte i contenuti delle lettere di Alì Agca e sappiamo che nella cella accanto alla sua c’era Giovanni Senzani “Eravamo insieme durante l’ora d’aria”, mi dice l’ex terrorista turco, “Giovanni mi insegnava l’italiano”. Alì Agca ricorda questo ma non i contenuti delle sue lettere. Annuncia di voler partecipare ai funerali di Papa Francesco e non dice altro delle lezioni di italiano con Senzani, il brigatista “salvato” dal caso Moro da una provvidenziale informativa del Sismi che lo voleva in America nella primavera 1978. Il contatto tra il turco e il brigatista potrebbe non essere stato casuale ma ora, ad interessare, sono i telegrammi secretati tra Stato italiano e Chiesa. Il primo, inviato dalla Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede al Ministero, è del 21 luglio 1983. Il giorno successivo la famiglia Orlandi annunciò di aver nominato l’avvocato Gennaro Egidio, su suggerimento di un ufficiale del Sisde. Lo stesso avvocato che il 29 marzo del 1984, subito dopo la “rapina del secolo” messa a segno dal falsario Antonio Chichiarelli, fu nominato dalla Brink’s Securmarck come rappresentante-negoziatore per il recupero dei 35 miliardi rubati dal caveau blindato della banca. Ma questa è un’altra storia, una delle tante, misteriose e inquietanti, in cui compare il nome dell’avvocato Gennaro Egidio.
Il 17 luglio 1983, pochi giorni prima dei telegrammi Italia-Vaticano, i rapitori rendono pubblico un nastro con la voce di Emanuela Orlandi, torturata e abusata. Dopo i telegrammi (ma anche questa è una coincidenza) dal nastro nelle mani del Sismi che ne stava verificando l’autenticità, sparirono le voci maschili.
“Non avrebbero preso una cittadina vaticana per orge e festini”, ci dice un ex boss della banda della Magliana. “Emanuela è stata presa per i soldi della mafia e della banda arrivati nelle casse dello Ior e mai restituiti”. Un’ipotesi che coinvolgerebbe la Banda della Magliana e la mafia siciliana. Impossibile trovare traccia del passaggio dei soldi dei testaccini e della mafia per le sacre mura, è chiaro che non ci furono né bonifici né ricevute. I soldi “non restituiti” probabilmente confluirono nel flusso di denaro “prelevato” dal duo Marcinkus-Calvi dalle casse del banco Ambrosiano attraverso i circuiti off-shore che consentirono al Vaticano di finanziare Solidarnosc in Polonia e il dittatore Somoza in Nicaragua, uno di quelli che “proteggeva” la Chiesa da movimenti marxisti. Per festini o per soldi, è indubbio che la Santa sede abbia avuto un ruolo determinante della scomparsa di Emanuela Orlandi. Dal dossier che oggi, con certezza, sappiamo esserci in Vaticano e dai telegrammi ancora coperti dal segreto di Stato, si potrebbe arrivare a una verità sul rapimento della 15enne che al momento resta uno dei casi più oscuri e intricati della cronaca nera italiana. Una vicenda torbida che ha coinvolto, finora, un boss della banda della Magliana, cardinali, monsignori, papi e servizi segreti in un guazzabuglio di notizie da cui, alla fine, emergono sempre gli stessi nomi.