Chi ha ucciso Chiara Poggi? Lo decidono i Social

Il 13 Agosto 2007 Chiara Poggi non venne solamente uccisa mentre era nella propria casa, ma dalla violenza con cui fu aggredita si ha la sensazione che l’intento fosse quello di estirparla da questa terra e gettarla via. Chi, con o senza complici, dopo aver scaraventato quella ragazza ancora in pigiama giù per quelle scale, era consapevole di aver lasciato un corpo senza vita di una ragazza che non avrebbe mai più parlato. Quasi diciotto anni sono passati da quel giorno fatale. Una persona nata nel 2007 oggi è quasi maggiorenne e conosce almeno a grandi linee questa vicenda, perché ha letto qualche notizia sul suo smartphone.
In diciotto anni si sono celebrati processi, ci sono state assoluzioni, condanne, indagini forse giuste o forse sbagliate, Procuratori che non hanno lavorato come si deve, inquirenti superficiali, indagini non limpide, depistaggi, inchieste, giornalisti sciacalli e giornalisti amici del popolo, il fidanzato della vittima in carcere da dieci anni che continua a dichiararsi innocente, nuove piste, nuove indagini, super testimoni, nuovi Procuratori, depistaggi, nuove scoperte, dna, impronte, nuovi presunti colpevoli.
Ma cosa rimane oggi in realtà del delitto di quella ragazza di ventisei anni, che fu uccisa in modo selvaggio a casa sua, ritrovata morta su una rampa di scale?
Rimane la narrazione.
“Non conta il fatto, ma il racconto del fatto”, sosteneva qualcuno sicuramente più autorevole del sottoscritto, e mai come nel periodo attuale in cui gran parte della narrazione passa attraverso i social network, questa affermazione si rivela in tutta la sua sconcertante verità. Da quando il delitto di Garlasco ha riconquistato le cronache, vediamo spuntare in rete ricercatori, sedicenti studiosi, investigatori mancati, azzeccagarbugli in cerca di visibilità (meglio se monetizzata), che sostanzialmente sono coloro i quali gestiscono la narrazione e che di fatto dettano una linea di pensiero. Chiunque dimostrasse, non dico intelligenza, che (forse) è un concetto relativo, ma almeno un po’ di attitudine al ragionamento critico (e autocritico), e magari si trovasse anche in lieve disaccordo con il pensiero unico narrante, sarebbe automaticamente emarginato. Dentro o fuori.
La narrazione del delitto di Garlasco ha dei punti fermi, e chi ne vuole far parte deve adeguarsi. Punto primo: La Procura di Pavia nel 2007 sbagliò tutto, le Forze dell’Ordine agirono da incompetenti e Alberto Stasi è innocente.
Punto secondo: La Procura di Pavia che ha riaperto il caso diciotto anni dopo sta facendo un ottimo lavoro , Andrea Sempio è colpevole (anche se attualmente è solo indagato) e le sorelle Cappa, perché no, colpevoli anche loro (e non sono neanche indagate).
A patto che questi due punti vengano rispettati e utilizzati come premesse per qualunque argomentazione, chiunque è “libero” di dire quello che pensa sul delitto di Garlasco, attraverso una qualsiasi piattaforma social, in uno studio più o meno improvvisato, o semplicemente immerso nel buio della propria cameretta con telecamera accesa.
Alessandro De Giuseppe, giornalista de Le Iene, sicuramente in buona fede e con quel pizzico di spirito missionario autolegittimante che non guasta, con la sua inchiesta sui fatti di Garlasco ha fatto conoscere a tutti il super testimone (non oculare) che con le sue rivelazioni potrebbe dare una svolta clamorosa alle indagini. Il giornalista, con grande senso del dovere ha consegnato i risultati della sua inchiesta alla Procura di Pavia che sta indagando con serietà e soprattutto tenendosi ad una giusta distanza dai clamori mediatici (che comunque ci sono).
Lo stesso giornalista ha anche deciso di parlare della sua inchiesta solo nei social network e non in tv, dimostrando di sapere molto bene quale canale utilizzare oggi, se si vuole far parte della narrazione.
La Giustizia sta seguendo il suo corso, con i suoi tempi. Le nuove indagini sul delitto di Garlasco porteranno a qualcosa di nuovo? Forse.
Probabilmente ci sarà un nuovo processo, con nuovi imputati e nuovi colpevoli. Ma comunque andranno le cose, la sentenza definitiva sarà quella emessa dal tribunale social, con tutti i suoi narratori, che approveranno o disapproveranno quella dei Giudici.
L’Italia oggi è anche questo: un Paese in cui fare il Magistrato o vestire una divisa diventa sempre più complicato, e dove è semplicissimo avere un proprio spazio su una qualsiasi piattaforma social, da dove dire liberamente ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.
A patto che ciò che si dice coincida con quello che la narrazione impone “democraticamente” di dire.

Author: Maurizio Maglia

Docente di Lingua Italiana per stranieri. Svolge la sua attività sia in Italia che all'estero. È amministratore di un canale YouTube in cui propone spunti di riflessione che riguardano il caso del Mostro di Firenze e l'influenza di questa vicenda sulla società italiana.

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