Il delitto di Garlasco e il mito di Crono: quando la giustizia divora i suoi figli

C’è un mito antico che aleggia sulle aule dei tribunali italiani: quello di Crono, il Titano che divorava i suoi figli per paura di essere spodestato. Un’immagine che sembra calzare perfettamente alla giustizia italiana, capace di mettere in discussione sé stessa, di divorare sentenze e vite, pur di inseguire un’idea di verità che rischia di restare sempre un passo più in là. Il caso Garlasco, con la sua storia di errori, omissioni, processi infiniti e nuove piste investigative, rappresenta forse meglio di ogni altro questa parabola: una giustizia che, nel tentativo di correggere i propri torti, rischia di perpetuarne di nuovi e, soprattutto, di compromettere definitivamente quel poco che resta della certezza del diritto.
Il 13 agosto 2007 Chiara Poggi viene trovata morta nella villetta di famiglia. Da allora, diciotto anni di indagini, processi, assoluzioni e condanne. Alberto Stasi, il fidanzato della vittima, è stato condannato in via definitiva a 16 anni di reclusione dopo un tortuoso iter processuale: assolto in primo e secondo grado, condannato in appello bis e in Cassazione, oggi in semilibertà, continua a proclamare la propria innocenza. La Cassazione stessa, pur affermando la colpevolezza “oltre ogni ragionevole dubbio”, ha riconosciuto che l’indagine fu “non limpida, caratterizzata anche da errori e superficialità”. Una catena di indizi sottovalutati, prove raccolte in ritardo, omissioni e dimenticanze che hanno segnato ogni passaggio della vicenda.
Per non dimenticare cosa è capace di produrre un apparato investigativo sotto pressione mediatica, cosa che sta avvenendo anche oggi, forse è il caso di ricordarne qualcuno.
• Il corpo di Chiara non fu sottoposto a rilievi come il rilevamento delle impronte digitali, né fu pesato all’obitorio, cosa che ha reso difficile una precisa determinazione dell’ora della morte.
• La centralina dell’antifurto della villetta fu sequestrata troppo tardi, quando i dati utili erano ormai persi.
• Il cellulare di Stasi non fu mai sequestrato, privando gli inquirenti di potenziali informazioni sui suoi spostamenti e comunicazioni.
• Sulla scena del crimine furono lasciate impronte degli stessi inquirenti, e si verificarono episodi di contaminazione come la presenza di un gatto lasciato libero di circolare tra le stanze.
• La bicicletta di Stasi, elemento centrale per la ricostruzione del delitto, fu sequestrata solo sette anni dopo, quando i pedali erano già stati sostituiti.
• Le scarpe di Stasi, che secondo l’accusa avrebbe dovuto indossare entrando nella villetta insanguinata, non presentavano tracce ematiche, così come il tappetino dell’auto da lui usata. Solo successive analisi hanno rilevato particelle di DNA della vittima, ma la natura di queste tracce è rimasta incerta e oggetto di dibattito tra accusa e difesa
• Il computer portatile di Alberto Stasi, elemento chiave per la ricostruzione del suo alibi, fu esaminato senza seguire i protocolli di informatica forense già noti all’epoca. Vennero effettuati accessi diretti al disco rigido senza prima realizzare una copia forense, compromettendo così l’integrità dei dati. Questa condotta causò la cancellazione e la modifica di decine di migliaia di file, rendendo in parte inutilizzabili le informazioni digitali e costringendo i periti a ricostruire la timeline delle attività informatiche incrociando dati da altre fonti, con un margine di incertezza molto elevato. La stessa sentenza ha definito questi interventi come “devastanti” per l’integrità dei supporti informatici.
• L’arma del delitto è rimasta a lungo un mistero. Solo di recente sono stati recuperati dal canale di Tromello alcuni oggetti compatibili, tra cui una mazzetta da muratore e la testa di un’ascia, ma nessuno di questi è stato inequivocabilmente identificato come l’arma usata per uccidere Chiara Poggi. Il padre della vittima aveva segnalato la sparizione di un martello a coda di rondine dal garage di casa, ma le analisi sugli oggetti ritrovati non hanno ancora fornito risposte definitive.
• Per finire questo elenco non esaustivo, ricordiamo la mancanza del movente. Di ipotesi se ne sono fatte tante, dal possibile possesso di materiale compromettente fino a questioni sentimentali, ma nessuna di queste è mai stata corroborata da prove concrete. Anche le nuove indagini, che puntano a cerchie di amici e a dinamiche relazionali tra i giovani di Garlasco, faticano a individuare un movente realmente convincente e supportato da riscontri oggettivi.
Dopo tutto questo, come se non bastasse, oggi siamo di nuovo qui. Si ricomincia daccapo. Gli inquirenti hanno convocato per interrogatori incrociati Andrea Sempio, amico del fratello di Chiara, Alberto Stasi e Marco Poggi, fratello della vittima. Gli investigatori ripartono dagli elementi già noti, il DNA sotto le unghie della vittima, le tre telefonate misteriose nei giorni in cui Chiara era sola, il biglietto del parcheggio consegnato con un anno di ritardo, ma anche da nuovi possibili indizi, come il martello ritrovato nel canale di Tromello e le chat della cugina.
La sensazione, però, è che a meno di confessioni clamorose o di prove schiaccianti finora rimaste segrete, tutto questo clamore rischi di produrre più sospetti che certezze e di alimentare il dibattito pubblico senza riuscire a produrre un impianto accusatorio davvero solido, capace di reggere con dignità durante un processo dove tutte le parti avranno la possibilità di dire la propria e confutare ogni tesi con perizie e ragionamenti. In definitiva, che si stia solo per partorire un altro figlio da mangiare, per la gioia di tutti quelli che banchetteranno sui suoi resti.

Author: Antonio Fusco

Laureato in Giurisprudenza e in Scienze delle pubbliche amministrazioni, ha conseguito il Master di secondo livello in Criminologia Forense ed è iscritto alla Società Italiana di Criminologia. Quale Dirigente della Polizia di Stato, attualmente in quiescenza, si è occupato di indagini di polizia giudiziaria, investigazioni e contrasto alla criminalità. Scrive romanzi crime per Giunti (serie delle indagini del commissario Casabona) e per Rizzoli (serie delle indagini dell'ispettore Massimo Valeri - l'Indiano). Alcuni dei suoi libri sono stati tradotti in Germania, Grecia e Turchia.

articoli simili

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *