“Il duplice omicidio di Fausto e Iaio, il finto suicidio di Giovanni De Nicola, il prete dello Ior impiccato a Roma, così come l’agguato a Mino Pecorelli, hanno tutti la stessa matrice (…) Ci fu una donna che ospitò in casa sua i Nar che arrivarono a Milano per uccidere il presunto assassino di Sergio Ramelli (…) I Nar avevano rapporti con Pino De Girolamo, noto esponente della mala milanese che gestiva lo spaccio della droga in zona Leoncavallo (…). Quando nel 1980 ci fu la retata contro Terza Posizione, Valerio Fioravanti mandò i suoi ragazzi – Ciavardini, Soderini, Belsito e altri – a Milano, in casa della compagna di Pino De Girolamo”. Sono alcune delle notizie contenute in una lettera arrivata a chi scrive dal carcere di Velletri. Tre pagine che portano la firma di Angelo Izzo, uno dei mostri del Circeo: “Un anno prima ero stato condannato a due anni e mezzo di carcere per violenza, se non mi avessero lasciato a piede libero, al Circeo non ci sarei andato”. Era il 29 settembre 1975 e a breve, da quella notte di fine estate, saranno passati 50 anni.
Gianni Guido, Andrea Ghira e Angelo Izzo, tre fascistelli di buona famiglia, seviziarono Rosaria Lopez di 19 anni e Donatella Colasanti di 17. Le due ragazze furono torturate, violentate e rinchiuse nel bagagliaio di un’auto. Rosaria morì, Donatella si salvò, fingendosi morta. Izzo e Guido furono arrestati subito, Ghira rimarrà latitante, almeno fino al 1994, anno della sua morte per overdose, a Melilla, dove viveva dopo essersi arruolato nella legione straniera spagnola con il falso nome di Massimo Testa de Andrés. Nel luglio del 1975 i tre mostri furono condannati all’ergastolo, pena ridotta a 30 anni per Gianni Guido perché i suoi familiari, prima della sentenza d’appello, pagarono ai genitori di Rosaria Lopez 100 milioni di vecchie lire a titolo di risarcimento. La stessa cifra fu invece rifiutata da Donatella Colasanti. “Mai perdonerò chi ha preso quei soldi”, mi disse, “Rosaria non avrebbe voluto”. Fu l’ultima dichiarazione di una lunga intervista raccolta dopo il duplice omicidio di Ferrazzano commesso da Angelo Izzo il 28 aprile del 2005, in regime di semilibertà. Il mostro aveva collaborato con i magistrati di mezza Italia, raccontando verità sulle stragi, da Piazza Fontana alla stazione di Bologna fino alla bomba di Piazza della Loggia a Brescia e il suo darsi da fare con gli inquirenti gli era valso prima il trasferimento nel carcere di Campobasso, nella sezione dei collaboratori di giustizia, e poi la semilibertà con un lavoro esterno nella comunità “Città Futura”. Ma il mostro Angelo Izzo, pochi mesi dopo, tornò a uccidere: strangolò, senza violentarle, Maria Carmela Linciano e Valentina Maiorano, rispettivamente moglie e figlia di Giovanni Maiorano, l’ex affiliato (poi pentito) della Sacra Corona Unita. Valentina aveva 14 anni. Per questo duplice omicidio, Angelo Izzo sta scontando un nuovo ergastolo nel carcere di Velletri e non uscirà (si spera) dalla sua cella neanche per un permesso di poche ore. Può scrivere. E lo ha fatto con una lettera che riportiamo nei contenuti e solo dopo aver ricordato l’orrore del suo passato.
La lettera è dello scorso 17 maggio. Abbiamo cercato riscontri e ne pubblichiamo alcuni passaggi che riguardano due inchieste aperte, quella sul duplice omicidio di Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci (Fausto e Iaio) e l’altra sull’omicidio irrisolto del giornalista Mino Pecorelli.
“Nel lontano 1981 ero a Rebibbia nel braccio G8, in cella con Mario Corsi, Dario Pedretti e Luigi Ciavardini. Corsi si lamentò del fatto che a Milano si era dovuto appoggiare a un locale pubblico, pur se di camerati. Una cosa – disse – poco sicura per un’operazione che doveva rimanere segreta”. Mario Corsi, ex militante del gruppo di estrema destra del Quartiere Roma Prati, è indagato nella nuova inchiesta per l’omicidio di Fausto e Iaio. Per comprendere questa e le altre dichiarazioni di Angelo Izzo è utile fare un passo indietro. Tornare al 18 marzo del 1978, alla sera del duplice omicidio e alla testimonianza di una donna che vide quello che accadde in via Mancinelli: “C’erano tre ragazzi di circa vent’anni, in piedi, due con un impermeabile chiaro e un altro con un giubbotto marrone. Uno dei tre giovani aveva una pistola nascosta in un sacchetto di plastica. Dopo alcuni colpi simili a petardi, un ragazzo, poco distante da loro, si accasciò per terra”. Fausto e Iaio furono uccisi con otto proiettili calibro 7,65, tutti esplosi dalla stessa arma, una Beretta 34. Sul luogo dell’agguato fu trovato anche un berretto di lana di colore blu, intriso di sangue, che non apparteneva alle due vittime, e che, stando alle testimonianze raccolte, sarebbe stato simile a quello indossato da un ragazzo che frequentava il bar Pirata di via Pordenone, dove si riunivano giovani militanti di destra e dove fu ritrovato un impermeabile bianco. Stando alle prime indagini, Fausto e Iaio avrebbero collaborato, con altri ragazzi del Leoncavallo, alla stesura di un dossier per denunciare spacciatori e malavitosi del quartiere. Ma a sparare in via Mancinelli furono killer professionisti: la pistola era avvolta da un sacchetto di plastica per raccogliere i bossoli e i colpi furono esplosi precisi, senza esitazioni o pietà. Fausto e Iaio non furono scelti a caso e il loro omicidio va collegato alla strana morte di Mauro Brutto, un giornalista che stava indagando sull’agguato. La sua morte è stata archiviata come incidente, in realtà mai è stato identificato chi era alla guida dell’auto che lo investì in via Murat, poco distante dalla stazione Centrale di Milano. Pochi giorni prima qualcuno gli aveva sparato tre colpi di pistola senza colpirlo.
Oltre a Mario Corsi, per la morte di Fausto e Iaio, sono indagati anche Massimo Carminati e Claudio Bracci. “Io avrei aggiunto anche G.Z.”, scrive nella sua lettera Angelo Izzo, indicando il nome di un altro ex Nar. Sempre sul duplice omicidio dei ragazzi del Leoncavallo Izzo precisa che “nel 1978 i gruppi Prati (quello a cui appartenevano Corsi e gli altri indagati, ndr) e il gruppo Monteverde (i Nar di Valerio Fioravanti, ndr) erano in perfetta sintonia politica. La frattura ci fu nel 1979 quando le armi che Valerio custodiva in via Alessandria furono date da Beppe Dimitri a Dario Pedretti per la rapina a una gioielleria di Roma. Pedretti fu beccato e mentre lui era in carcere la sua ragazza, Francesca Mambro, si mise con Valerio Fioravanti”. Poco ci interessa dei legami amorosi della moglie di Fioravanti. Sarebbe utile, invece, capire quanto Fausto e Iaio abbiano dato fastidio ai traffici del boss milanese Pino Di Girolamo, amico dei Nar. Tanto amico che due anni dopo il duplice omicidio di Fausto e Iaio è l’intero nucleo nero a mobilitarsi per far evadere Di Girolamo, detenuto a Pianosa. Un assalto organizzato nei minimi particolari con i Nar partiti da Milano a bordo di un camper messo a disposizione da Cosimo Simone, il proprietario della carrozzeria Luki di via Ofanto, nel quartiere Feltre, poco distante dal Leoncavallo. In quella carrozzeria di Milano i Nar nascosero l’auto usata per raggiungere Bologna il giorno della strage alla stazione. In quella carrozzeria i Nar nascondevano le loro armi. Mai, almeno fino ad oggi, è stato approfondito il ruolo di Di Girolamo e mai il luogo di appoggio della carrozzeria di via Ofanto per l’agguato ai due ragazzi del Leoncavallo.
Nella lettera del massacratore del Circeo ci sono notizie su un altro omicidio irrisolto, quello del giornalista Mino Pecorelli
“Perché era libero? Da sette anni scrivo a giornalisti e ministri. Ho scritto anche al presidente della Repubblica. Nessuno è intervenuto e ora mi rivolgerò alla corte di Giustizia europea”. La registrazione è del 30 aprile 2005 e la voce è quella di Donatella Colasanti. L’avevo cercata dopo il duplice omicidio di Ferrazzano. Era un fiume in piena di rabbia e di lacrime. Perché Angelo Izzo, uno dei suoi tre aguzzini, era tornato a uccidere. “Prima Rosaria oggi queste due poverette”. Rosaria Lopez, aveva 17 anni ed era la sua migliore amica. Furono entrambe sequestrate e torturate da Angelo Izzo, Andrea Ghira e Gianni Guido. Donatella si salvò fingendosi morta. Il processo si concluse nell’estate del 1976, un anno dopo il massacro del Circeo, con la condanna degli imputati all’ergastolo. Ghira, latitante fin da subito, e Angelo Izzo furono nuovamente condannati al carcere a vita mentre a Gianni Guido la pena fu scontata a 30 anni dopo il versamento di 100 milioni di lire fatto, a titolo di risarcimento, ai familiari della Lopez. Nel 1981, Gianni Guido riuscì ad evadere dal carcere di San Gimignano. Due anni dopo fu arrestato in Argentina, ma anche da lì riuscì a far perdere le sue tracce, allontanandosi dall’ospedale dov’era stato ricoverato per una caduta. Fu arrestato a Panama nel 1994 ed estradato in Italia. Dopo 14 anni nel carcere di Rebibbia, e grazie a uno sconto di pena di 8 anni per indulto, è tornato completamente libero nell’agosto del 2009. L’ho incontrato a Roma un mese dopo. E non per caso.
L’ho visto mentre portava fuori il cane e l’ho aspettato sotto casa e poi alla fermata dell’autobus dove ho chiesto del Circeo. Del perché di tanto orrore. Minacciò di querelarmi se non avessi rispettato il suo diritto all’oblio, e io di inseguirlo per tutta Roma se non avesse risposto alle mie domande. Precisò di aver “scontato la sua pena e di aver pagato per il suo errore”. Che non c’era spiegazione alla violenza del Circeo se non quella provata dai giudici e cioè che era stato “soggiogato dai suoi due amici”. Donatella Colasanti, durante la nostra telefonata, dichiarò che “era stato violento anche più degli altri”. Che fu lui a cercare di strangolarla con la cintura dei pantaloni.
Gianni Guido è libero, nonostante il massacro di due donne e le evasioni, Andrea Ghira non ha mai scontato un giorno di carcere e Angelo Izzo è stato condannato all’ergastolo per il duplice omicidio di Maria Carmela Linciano e Valentina Maiorano, madre e figlia uccise a Ferrazzano. E’ detenuto nel carcere di Velletri da dove ha spedito la lettera che abbiamo ricevuto. Ha scritto del duplice omicidio di Fausto e Iaio con le notizie che abbiamo già riportato e di un altro omicidio irrisolto, quello di Mino Pecorelli. Le indagini sulla morte del giornalista ucciso il 20 marzo del 1979 a Roma, sono state riaperte dopo un’inchiesta giornalistica che ho pubblicato e sono ancora in corso. Di seguito un passaggio della lettera di Angelo Izzo: “Prima, o subito dopo il delitto di Pecorelli, non ricordo l’anno ma so per certo che V.F. uccise un banchiere in Australia, a Sidney, sempre per ordine di Licio Gelli. Lo so perché si appoggiò a casa di una mia amica. Era diventato il killer di una realtà che superava l’ambiente dei servizi, che comprendeva ambienti dell’oltranzismo atlantico, il cui esponente più importante era proprio il venerabile che Pecorelli osò minacciare con le sue inchieste”.
E ancora: “Pecorelli è un argomento scomodo per l’attuale assetto di potere. Il suo assassino, come persona, non fa più paura, in quanto ormai in disarmo ma è l’ambiente romano di ex terroristi di destra riciclatosi in un mondo di faccendieri, malavitosi e strutture di potere, a voler mettere a tacere questi fatti. Penso valga il detto lascia dormire il can che dorme, e questo mantiene in vita un sistema di complicità e ricatti. Personalmente so di godere di una fama ambigua malgrado la mia collaborazione. Faccio solo presente che ai magistrati ho parlato di decine e decine di fatti di sangue e che, in trent’anni, nessun omicidio è mai stato attribuito a persone diverse da quelle da me indicate”. Le lettere, purtroppo, non danno la possibilità di replicare o di fare domande però c’è una dichiarazione di cui avremmo volentieri chiesto e che riguarda l’avvocato Maurizio Dipietropaolo, legale di Licio Gelli: “Valerio mi disse che, attraverso il suo legale, Gelli voleva sapere se poteva stare tranquillo a proposito della questione Pecorelli e che se lui avesse avuto bisogno di aiuto poteva far conto su di lui”. A questa dichiarazione di Angelo Izzo abbiamo trovato un riscontro nei verbali di Sergio Calore, ex terrorista di destra e collaboratore di giustizia, ucciso a picconate nel 2010 in un casolare nelle campagne di Guidonia. Omicidio rimasto irrisolto, come quello di Pecorelli. Anche Sergio Calore, subito dopo l’inizio della sua collaborazione, riporterà ai magistrati le rassicurazioni dell’avvocato Maurizio Dipietropaolo perché Gelli voleva stare tranquillo sulla questione Pecorelli.
C’è invece un’altra rivelazione di Angelo Izzo di cui non abbiamo trovato riscontri in verbali o sentenze. E si tratta del suicidio per impiccagione di un prete dello Ior, Giovanni Da Nicola.
Izzo scrive: “Si tratta di un omicidio passato per suicidio. La sua morte è legata a quella del giornalista. Padre Giovanni Da Nicola fu trovato impiccato in un parco di Roma: aveva fatto troppe domande sui soldi transitati nelle casse dello Ior”.
La lettera di Angelo Izzo contiene altre notizie su altri omicidi collegati ai Nar di Valerio Fioravanti e si chiude con un invito per un colloquio nel carcere di Velletri “per far luce su certe storie”. Colloquio che non chiederò. Perché a parlare col mostro, ora, devono essere i magistrati.
(pubblicato anche sul settimanale Giallo – Cairo editore)












