Desirée Piovanelli: il branco, l’ingiustizia e l’ombra del mandante

So che mi state cercando ma non vi dovete preoccupare. Io sto bene e sono con Tony. Non torno a casa, voglio stare con lui”. Un messaggio che arriva sul cellulare del fratello di Desirée Piovanelli, scritto da uno dei suoi assassini. Uno dei minori che partecipò allo stupro e all’omicidio della 14enne. Sono passati più di vent’anni da quel 28 settembre 2002 quando all’interno della cascina Ermengarda, a Leno, nella bassa bresciana, fu ritrovato il corpo senza vita di Desirée e oggi anche l’unico adulto condannato é tornato in libertà. Si chiama Giovanni Erra, ha sessant’anni, e nel 2002, in quel cascinale oggi trasformato in residenza di lusso, nascondeva droga. Da sempre, Erra si dichiara innocente: “Ero a casa con mia moglie e mio figlio”. Un figlio che nel 2002 aveva otto anni e che sentito da una psicologa confermò.
Nicola e Nico, entrambi sedicenni, sono stati condannati a 18 e 15 anni e Mattia, il quattordicenne, a 10 anni. Tutti e tre sono tornati liberi ormai da tempo. Mentre Giovanni Erra, nel processo di primo grado, è stato condannato all’ergastolo, una pena ridotta in appello a 20 anni. Dopo il ricorso in Cassazione della procura generale di Brescia, è stato celebrato, a Milano, un nuovo processo. Con l’appello bis la pena è passata a 30 anni di carcere con sentenza del 3 novembre 2005 e oggi, grazie a uno sconto di sette anni per buona condotta, anche Erra è tornato a casa.
Desirée frequentava il liceo scientifico di Manerbio e fu attirata con l’inganno dai suoi tre coetanei nella cascina abbandonata, con la scusa di vedere e accudire dei gattini appena nati. Lei adorava gli animali e conosceva bene quei ragazzini che abitavano a pochi passi da lei. Di uno di loro un giorno scrisse sul diario: “Da non frequentare. Attenzione”. Secondo quanto stabilito dalla sentenza, la giovane cercò di resistere a un tentativo di violenza sessuale. I tre minori cercarono di immobilizzarla, di tapparle la bocca, di bloccarla con le fascette da elettricista che avevano portato. Solo uno di loro aveva un coltello e lo usò colpendola al petto. Desirée riuscì a rialzarsi e a fuggire lungo una scala di legno. Lasciò tracce di sangue e l’impronta di una mano insanguinata sul muro. Cadde sui gradini, si rialzò, raggiunse il pianerottolo e tentò, invano, di aprirsi un varco davanti al branco che l’aveva raggiunta. Si aggrappò alle pareti per non farsi trascinare nuovamente di sopra. Afferrò più volte la lama del coltello ferendosi. A confessarlo fu uno dei tre minori. Leggendo i suoi verbali è palpabile il terrore di Desirée: “Urlava, piangeva, ci diceva di avere pietà”. Una pietà che mancò. Furono in due a sollevarla di peso e a riportarla al primo piano. “Si affacciò alla finestra per gridare aiuto o per buttarsi di sotto”. Ma uno degli aggressori la colpì alle spalle, bloccandola nuovamente. Fu stuprata e uccisa. Il corpo fu ritrovato il 2 ottobre, dopo diversi giorni di ricerche. In carcere i tre minori ci sono stati poco per quello che hanno fatto.
Nel 2018 Maurizio Piovanelli, il padre di Desirée, ha fatto riaprire le indagini sostenendo l’esistenza di una rete di pedofili e di un mandante, oltre al branco. Un uomo mai identificato che avrebbe lasciato il suo Dna sul giubbotto della ragazza, due tracce biologiche mai attribuite e diverse dal Dna dei quattro condannati per il delitto. Questa seconda inchiesta non è mai decollata davvero, finendo per essere archiviata nel 2021. Tuttavia il gip ha disposto il sequestro e la conservazione delle due tracce di Dna maschile isolate già nel 2002 e mai attribuite. Anche i tre minori condannati per l’omicidio, interpellati nel 2019 (tutti e tre erano già in libertà) hanno ribadito quanto dichiarato subito dopo il delitto. Nessuna contraddizione, nessun elemento a suffragio dell’ipotetica pista sulla rete di pedofili della Bassa bresciana. Eppure, dalle carte emerge un particolare inquietante: uno dei minorenni condannati, prima e dopo il delitto, aveva chiamato a lungo il numero di un telefono intestato ad un adulto. Una presenza che gli investigatori ignorarono. Da quel numero e dal quel nome bisognerebbe ripartire per fare chiarezza e dare giustizia a Desirèe e alla sua famiglia. Maurizio Piovanelli, la moglie Grazia e i tre fratelli della 14 enne, Michele, Ivano e Sharon, sono rimasti a vivere a Leno ma si sono trasferiti in una casa lontana dalle villette a schiera dove sono tornati Nicola, Nico e Mattia. E dove é tornato anche Giovanni Erra.

Author: Raffaella Fanelli

Giornalista, ha scritto per numerose testate, tra le quali la Repubblica, Sette - Corriere della Sera, Panorama, Oggi, e altrettante trasmissioni televisive, da Quarto grado a Verissimo a Chi l’ha visto? Ha realizzato interviste a Salvatore Riina, Angelo Provenzano, Vincenzo Vinciguerra, Valerio Fioravanti, Franco Freda. Nel 2018 pubblica "La verità del Freddo" (Chiarelettere), il libro intervista a Maurizio Abbatino, fondatore con Franco Giuseppucci della Banda della Magliana. Nel 2019 una sua inchiesta giornalistica permette alla procura di Roma di riaprire le indagini sull’omicidio del giornalista Mino Pecorelli e, nel 2020, dà alle stampe, con Ponte alle Grazie, "La strage continua. La vera storia dell’omicidio di Mino Pecorelli". Nel 2022 pubblica con Emons e il Fatto Quotidiano “OP”, il podcast sul delitto del giornalista. Del 2023 è "Chi ha ucciso Simonetta Cesaroni?" (Ponte alle Grazie).

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